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Conflitti militari come una delle ragioni principali della fame mondiale.

Conflitti militari come una delle ragioni principali della fame mondiale.


Su questo sito troverete numerosi articoli che trattano delle ragioni delle crisi umanitarie nel mondo, tra cui anche quella della fame. Tra le ragioni di quest’ultima ci sono l’inefficace economia globale, l’attività egoistica dei gruppi di capitale e finanziari e locali problemi sociali sui territori sottoposti a tal rischio.

Tuttavia, da secoli, anzì, da millenni la ragione di base dell’apparizione della fame nel mondo sono i conflitti militari. Molto spesso, anche nel caso di scaramucce locali, uno dei modi per ottenere il vantaggio nella lotta era provocare la fame tra i soldati dell’armata nemica, o provocare una crisi umanitaria tra i civili. Tali azioni erano molto spesso uno strumento delle pressioni politiche, una prova per ottenere alcuni vantaggi, a volte anche una punizione per l’insubordinazione. Può servire da esempio la grande fame in Ucraina, che divorò la vita di milioni.

C’è uno stereotipo che spesso attraversa la nostra coscienza e secondo il quale responsabili del problema della fame in Africa o in Asia sono le condizioni atmosferiche avverse, la siccità oppure l’economia arretrata. Infatti, spesso accade che il problema della mancanza del cibo riguarda l’apparizione della siccità in un dato territorio, ma normalmente non è una relazione semplice. La tragica situazione umanitaria suscita nella gente rabbia, lo scoppio della violenza e la nascita di conflitti militari. La fame arriva alla fine di tale sequenza. Però, non è la siccità, ma i conflitti politici che portano allo scoppio di guerre o di conflitti locali.

La maggior parte delle crisi umanitarie in Africa sono il risultato di conflitti militari. Nel 2011, la FAO ha fornito una lista dei 18 paesi africani a rischio di carestia, 8 dei quali erano in guerra. La guerra è costosa. Sono miliardi di dollari. La persistenza di tale stato in un dato paese provoca il drenaggio del budget e la mancanza di risorse per un’adeguata politica sociale. Peraltro, durante i conflitti i giovani in età lavorativa vengono arruolati nell’esercito, portando così alla mancanza di manodopera. La guerra è legata anche alla migrazione delle popolazioni, alla fuga continua. Molte aziende agricole vengono abbandonate dai loro abitanti, terreni abbandonati vengono devastati e gli avanzi del cibo lasciati vengono mangiati dagli invasori che occupano il territorio. Gli effetti della guerra sono visibili a lungo dopo la fine di essa. Gli abitanti temono le mine. In Mozambico, per esempio, sono state sotterrate circa 1-2 milioni di mine, invece in Angola 9-15 milioni.

Il diritto all’alimentazione diventa nei paesi in via di sviluppo uno degli strumenti nelle campagne politiche. Nel 2005, nel periodo di elezioni parlamentari in Zimbabwe, il partito al governo ha spedito nella provincia di Zhulube (toccata dalla crisi di siccità) grandi trasporti di mais. Al prezzo normale potevano acquistarlo soltanto gli elettori del partito al governo ZANU-PF, invece gli altri dovevano pagare il doppio.

La guerra provoca conseguenze catastrofiche. La fame causata dalla guerra è un disastro enorme che colpisce centinaia di migliaia di persone. Nel caso, ad esempio, dell’Angola, Etiopia oppure Eritrea i conflitti armati hanno causato oltre al crollo della produzione alimentare, anche la rottura delle reti commerciali che consentivano la distribuzione del cibo. Secondo la United Nations Integrated Regional Information Network (IRIN) nel 2005 ben un milione di eritrei sarebbero stati a rischio fame. La guerra in Eritrea ha provocato la necessità di richiamare nell’esercito 300 mila di uomini, che invece avrebbero potuto essere una forza produttiva per il mercato eritreo. Un effetto persistente a lungo termine dopo la chiusura dei conflitti sono non formati o insufficenti sistemi politici ed i locali sistemi di gestione. L’omnicomprensiva, e spesso accettata dalla società, corruzione contribuisce parzialmente alla completa distruzione del paese, a volte anche alla completa scomparsa dei soldi dello stato. Come avvenuto, ad esempio in Somalia o in Angola.

Molto spesso la sequenza avviene al contrario. È la cattiva situazione economica e la mancanza dell’accesso al cibo che suscita rabbia umana e che porta a disordini sociali. In Etiopia, Ruanda e Sudan il governo è stato rovesciato a causa di non aver saputo risolvere il problema della fame. Un’altra fonte dei conflitti è la lotta per il controllo delle materie prime come la terra, l’acqua, il petrolio.

La mancanza del cibo porta la gente ai limiti della resistenza fisica e mentale, a volte disumanizza, spinge all’uso della forza.

Un esempio radicale della relazione tra la fame e la lotta per interessi politici è la situazione nei paesi in cui v’è l’eccedenza del cibo e alcuni sono affamati o... muoiono di fame. Negli anni 1990-1992 nel Sudan del Sud una terribile carestia ha toccato quelli che non erano in grado di pagare per il cibo. Spesso è così che i prezzi del cibo vengono intenzionalmente gonfiati per provocare la fisica liquidazione di una parte della società. Tale situazione aveva luogo, ad esempio, in Sudan o in Etiopia. In Kenya, invece, i residenti urbani possono contare sulla sicurezza alimentare perchè ricevono il cibo soprattutto per fermare lo scoppio della ribellione.

Tuttavia il dramma basatosi sul collegamento della situazione politica e militare con il fenomeno della fame e con le relative crisi umanitarie non riguarda soltanto la situazione “sul posto”. La fame è uno strumento della politica globale, ma anche della politica militare. Il cosiddetto aiuto umanitario è molto spesso un mezzo per esercitare il controllo su un dato territorio. Così vanno aiutati principalmente i paesi che per il dato governo sono attraenti dal punto di vista geopolitico ed economico. Una forma molto popolare di azione sui nuovi territori sono le “spedizioni” che hanno lo scopo di prevenire lo sviluppo del terrorismo mondiale. Sotto la maschera di tali azioni gli USA mantengono 737 basi militari in 130 paesi. L’obiettivo è quello di mantenere il proprio accesso al petrolio. Nel prossimo futuro un quarto del petrolio usato dagli Stati Uniti proverrà dall’Africa. Questo gradualmente renderà loro indipendenti dai fornitori del vicino oriente e permetterà di realizzare i loro interessi geopolitici. Quindi, gli interessi verso il continente nero non sono disinteressati. Dal resto, lo sono mai stati?


Articolo in base alle ricerche di Agnieszka Miglin


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